30/05/14

CH - 1

CORPUS HERMETICUM

DISCORSO DI ERMETE TRISMEGISTO: POIMANDRES

Racconto di Ermete sull'incontro con Poimandres, l'Intelletto supremo.
[1-3] In un momento di meditazione profonda, appare a Ermete la visione di un essere di smisurate dimensioni, che si qualifica con il nome di Poimandres, ovvero l'intelletto divino.
[1] Un giorno, in cui riflettevo sugli esseri e il mio pensiero si era innalzato a grandi altezze, mentre i miei sensi corporei erano tenuti a freno, come accade a coloro che cadono nel sonno, dopo essersi abbondantemente saziati di cibo o dopo aver sopportato una fatica fisica, mi sembrò che una figura di smisurate dimensioni mi apparisse dinanzi e mi chiamasse per nome e mi dicesse: « ­ Che cosa vuoi udire e vedere, che cosa apprendere e conoscere con il tuo intelletto?  »
[2] E io allora: «  Tu chi sei?  ».
«  Io sono — rispose — Poimandres, l'intelletto del Sovrano assoluto, so cosa vuoi e sono totalmente a tua disposizione.  »
[3] Ed io: «  Desidero essere istruito sugli esseri, comprenderne la natura, e conoscere Dio. Come desidero ascoltarti  ».
Egli rispose: «  Tieni bene in mente tutto ciò che desideri imparare e io ti istruirò  ».
[4-6] Poimandres, attraverso una visione complessa ed enigmatica, illustra ad Ermete i principi divini: il primo principio è l'Intelletto supremo (Nous), il Padre, da cui scaturisce il Figlio, il Logos luminoso. Questi due principi si ritrovano, inscindibili, nella scintilla divina vitale che è nell'uomo: l'intelletto umano, inteso come facoltà di conoscenza intuitiva (il Sé superiore), è un riflesso dell'Intelletto di Dio Padre, mentre il Logos si riflette nella facoltà di conoscenza sensibile dell'uomo (il Sé personale).
[4] Dicendo questo mutò d’aspetto, e improvvisamente tutto mi si aprì davanti per un istante. Ed ecco mi appare uno spettacolo infinito: tutte le cose divennero  luce, visione serena  e gioiosa, di cui mi innamorai dopo averla vista. E dopo poco tempo si formò un'oscurità che prese a calare verso il basso, paurosa e cupa, diffondendosi a spirale, simile a un serpente, a quanto mi parve. Poi l’oscurità si mutò in una sorta di natura umida agitata in modo indicibile, esalante un fumo simile a quello che si alza dal fuoco, e che produceva una sorta di suono, un gemito indescrivibile.  E subito emise un grido di aiuto, inarticolato, che somigliava alla voce del fuoco. [5] Dalla luce un santo Logos si diresse verso la natura e dalla natura umida un puro fuoco si sprigionò verso l'alto: era leggero e vivo e al tempo stesso potente, e l'aria essendo leggera seguì il soffio infuocato, elevandosi dalla terra e dall'acqua verso la regione del fuoco, così da sembrare appesa ad esso, mentre la terra e l'acqua rimasero invece mescolate tra loro, indistinguibili l’una dall’altra; a esse era stato impresso il movimento dal soffio del Logos, che si era portato al di sopra di loro, fino a essere udito.
[6] [...] «  Quella luce — continuò — sono io, l'intelletto supremo, il tuo Dio, che esiste prima della natura umida emersa dall'oscurità, mentre il Logos luminoso che è scaturito dall'intelletto è il figlio di Dio. [...] Così intendi: ciò che in te guarda e ascolta è il Logos del Signore, mentre il tuo intelletto è lo stesso Dio padre. Non sono infatti separati l’uno dall’altro, poiché la loro unione è la vita.  »
[...]
[7-11] Attraverso un'altra enigmatica visione, Poimandres mostra a Ermete la forma archetipa, il principio del principio di tutto; e rispondendo a una domanda, spiega che gli elementi della natura furono generati dalla volontà di Dio ad imitazione dei loro modelli archetipi contenuti nel Logos. Dio inoltre, di natura maschile e femminile ad un tempo, generò mediante il Logos un intelletto demiurgo; il Demiurgo, dio del fuoco e dell'etere, a sua volta creò i sette ministri1 che, racchiudendo in cerchi il mondo sensibile, lo governano, e il cui governo è chiamato destino. Quando poi il Logos si distaccò dagli elementi inferiori della natura, lasciandoli come pura materia, e si unì per affinità all'intelletto demiurgo, questi impresse il movimento alle sfere cosmiche, dando origine al divenire della natura e alla generazione degli animali inferiori privi di ragione.
[7] Ciò detto mi guardò a lungo, sì da farmi tremare alla sua vista; poi, quando sollevò il capo, io vidi nel mio intelletto la luce consistente in un numero infinito di potenze, vidi sorgere un mondo infinito, vidi che il fuoco era imprigionato da una forza immensa e manteneva forzatamente l'immobilità; questo io compresi, contemplando la visione con l’aiuto delle parole di Poimandres. 
[8] Mentre io osservavo sbalordito, di nuovo mi si rivolse: «  Tu hai visto nel tuo intelletto la forma archetipa, il principio del principio, che non ha fine  », questo mi disse Poimandres.
«  Ma gli elementi della natura da dove sono sorti?  » dissi io.
Ed egli a queste mie parole disse: «  Dalla volontà di Dio, la quale, avendo accolto il Logos, e avendo visto il bel cosmo, lo imitò, disponendosi in un mondo ordinato mediante i suoi elementi e le sue creature, che sono le anime. 
[9] «  L’intelletto divino, cioè il sommo Dio, essendo di natura maschile e femminile, vita e luce al tempo stesso, generò mediante il Logos un intelletto demiurgo che, essendo dio del fuoco e dell’etere, creò sette ministri, i quali racchiudono in cerchi il mondo sensibile; e il loro governo è chiamato destino. 
[10] «  Immediatamente il Logos, distaccatosi dagli elementi inferiori, si diresse verso la pura natura creata e si unì all'intelletto demiurgo (era infatti della stessa natura), e gli elementi inferiori della natura furono lasciati privi del Logos, come se fossero pura materia.
[11] «  L’intelletto demiurgo unito al Logos, abbracciando i cerchi e imprimendo loro il movimento con stridore, fece ruotare le sue creature con un movimento che ha un inizio indeterminato e un termine senza fine, infatti inizia dove termina. La rotazione di questi cerchi fece nascere dagli elementi inferiori alcuni animali privi di ragione (poiché gli elementi inferiori non avevano più il Logos in se stessi); l’aria generò i volatili, l’acqua gli animali che nuotano; la terra e l'acqua erano state separate per volere di Dio, e la terra generò dal suo seno gli animali, che aveva in sé: i quadrupedi, i rettili, le bestie selvagge e quelle domestiche.  »
[12-15] A questo punto l'intelletto divino, il Padre, generò a immagine di sé l'archetipo dell'Uomo, a cui affidò tutte le proprie opere; e anche l'Uomo, conosciuto ciò che il Demiurgo aveva creato nel fuoco e nell'etere, volle produrre un'opera. Oltrepassate le sfere, l'Uomo discese nel mondo degli esseri mortali e degli animali irrazionali: qui la natura si innamorò della meravigliosa immagine di Dio rispecchiata nell'Uomo, e l'Uomo a sua volta si innamorò della propria immagine riflessa nell'acqua. Decise allora di dimorare nel mondo: la natura lo avvolse e si unì a lui. Per questo motivo gli uomini hanno una doppia natura: maschile e femminile, come il Padre; mortale per il corpo, immortale per l'Uomo essenziale che è in essi; soggetti al destino per quanto attiene al corpo, liberi per quanto attiene all'intelletto.
[12] «  L'intelletto, padre di tutti gli esseri, essendo luce e vita, generò un uomo simile a lui, del quale s’innamorò come della propria creatura; era infatti molto bello, poiché aveva l’aspetto del padre: in realtà Dio s’innamorò della propria immagine, e affidò all’uomo tutte le proprie opere. [13] L'uomo, avendo conosciuto ciò che il demiurgo aveva creato nel fuoco, volle anch’egli produrre un’opera, e ciò gli fu consentito da parte del padre. Giunto dunque nella sfera demiurgica, dove avrebbe avuto pieno potere, conobbe le opere prodotte dal fratello; i ministri si innamorarono di lui e ciascuno di essi lo fece partecipe del proprio stato. Avendo allora conosciuto a fondo la loro essenza e avendo partecipato della loro natura, volle penetrare al di là della superficie sferica dei cerchi e conoscere la potenza di colui che regna sopra il fuoco.
[14] «  L’uomo dunque, avendo il dominio assoluto sul mondo degli esseri mortali e degli animali irrazionali, volle sporgersi a guardare attraverso la compagine delle sfere celesti, dopo averne spezzato l'involucro superficiale, e mostrò così alla natura inferiore la meravigliosa immagine di Dio. Quando la natura ebbe visto l’uomo, che aveva in sé la bellezza che non può mai saziare e tutta la forza attiva dei ministri dei cieli insieme alla forma divina, sorrise d’amore, poiché aveva scorto nell’acqua l’immagine della meravigliosa bellezza dell’uomo e l’ombra di essa sulla terra. L'uomo, a sua volta, avendo visto questa forma simile a sé, presente nella natura, riflessa nell'acqua, fu preso d'amore per essa e volle dimorarvi. Nell'istante stesso in cui lo volle, lo realizzò e venne così ad abitare nella forma priva di ragione; la natura, avendo accolto in se l'amato, si avvolse tutta intorno a lui e così si unirono, poiché ardevano d'amore l'uno per l’altra.
[15] «  Ed è per questo che l'uomo, fra tutti gli esseri che vivono sulla terra, è l’unico che possiede una doppia natura; è mortale per il corpo, immortale per l’uomo essenziale che è in lui. È infatti immortale e domina su tutte e cose, ma si trova anche nelle condizioni degli esseri mortali ed è quindi soggetto al destino. [...] »
[16-19] Incalzato da Ermete, Poimandres spiega la generazione dell'umanità. La Natura, unita all'Uomo, generò sette uomini corrispondenti alla natura dei sette Ministri, cioè dotati di natura maschile e femminile e della potenza di elevarsi al cielo. La Vita e la Luce che era nell'Uomo divennero rispettivamente, nei sette uomini, anima e intelletto. Ora, non solo i sette uomini erano androgini, ma anche tutte le altre creature, a somiglianza dell'uomo; ma trascorsa la prima rivoluzione celeste il legame si ruppe e tutti gli esseri viventi si divisero in maschi e femmine, dando così inizio alle generazioni. Dio stesso comandò alle sue creature di crescere e moltiplicarsi; quanto agli uomini, chi era dotato di intelletto doveva conoscere tutto ciò che esiste, riconoscere se stesso immortale, e comprendere che la causa della morte è l'amore. Cosa che, afferma Poimandres, non tutti sono stati in grado di fare: alcuni, preferendo il corpo, sono rimasti nella tenebra, soggetti al dolore e alla morte.
[16] [...] Poimandres allora riprese: «  Questo, che io ti esporrò, è il mistero che è stato tenuto nascosto fino a questo giorno. La natura, quando si unì all’uomo, generò un qualcosa di mirabile e di prodigioso. Poiché l’uomo possedeva la natura del complesso dei sette ministri celesti, che, come ti ho detto, sono composti di fuoco e di soffio vitale, la natura, senza attendere un istante, generò immediatamente sette uomini, corrispondenti alla natura di ciascuno dei sette ministri, cioè dotati di natura maschile e femminile e della potenza di elevarsi verso il cielo. [...] [17] Così dunque [...] si ebbe la  generazione dei sette uomini: la terra costituì l'elemento femminile, l’acqua l'elemento fecondatore, il fuoco rese maturi i due elementi, l’etere offrì il soffio vitale, e la natura così generò i corpi, foggiandoli secondo la forma dell’uomo. L'uomo, da vita e luce qual era, si mutò in anima e intelletto: la vita divenne anima, la luce intelletto. E tutti gli esseri del mondo sensibile rimasero così fino al termine di una rivoluzione celeste, quand’ebbero inizio le generazioni. [18] [...] Compiutosi il periodo della rivoluzione, il legame, che teneva unite tutte le cose, si ruppe per volere divino. Tutti gli esseri viventi, che erano al tempo stesso di natura maschile e femminile, a somiglianza dell’uomo, si divisero in due e divennero in parte maschili, in parte femminili. Immediatamente Dio con un santo discorso disse loro: “Crescete accrescendovi, e moltiplicatevi in gran numero voi tutti, che siete stati creati e prodotti, e chi possiede l'intelletto riconosca se stesso immortale, sappia che la causa della morte è l’amore e conosca tutto ciò che esiste”.
[19] «  Dopo che Dio ebbe così parlato, la provvidenza determinò le unioni e stabilì le generazioni, valendosi dell’opera del destino e dell'ordinamento delle sfere celesti, e tutti gli esseri si moltiplicarono secondo la propria specie; e chi è stato capace di riconoscere se stesso ha raggiunto quello che è il bene prescelto da tutti, chi invece ha preferito il corpo, che è stato prodotto dall’errore dell'amore, è rimasto nella tenebra, vagando e soffrendo sensibilmente ciò che è connesso con la morte.  »
[20-23] Ermete, incalzato da Poimandres, dimostra di aver ben compreso che il destino degli uomini è una questione di affinità degli elementi: chi resta nell'ignoranza di sé, resta legato al corpo e al mondo materiale, dunque alla morte; viceversa, chi riconosce se stesso, riconosce di essere costituito di luce e vita, come il Padre, e pertanto non può che ritornare a Lui. Alla domanda di Ermete, se non tutti gli uomini siano dotati di intelletto, Poimandres risponde che l'Intelletto supremo resta presso coloro che scelgono la via della vera conoscenza e della virtù; si allontana, invece, da coloro che scelgono di restare nelle tenebre dell'ignoranza e del peccato.
[...]
[21] « [...] di luce e vita, questo è il Dio e il padre, dal quale fu generato l’uomo. Se dunque tu riconosci lui nella sua vera natura, come costituito di luce e di vita, e comprendi che tu derivi da tali elementi, ritornerai alla vita.  » Tali cose disse Poimandres.
[...]
[22] [...] «  [...] io, che sono l'intelletto supremo, sono vicino solamente a coloro che sono santi, puri, buoni e misericordiosi, e a coloro che mi venerano. La mia presenza è per loro un aiuto ed essi conoscono immediatamente tutte le cose, si rendono propizio Dio amandolo e gli rendono grazie onorandolo e dedicandogli inni in virtù dell'amore che provano per lui, e prima di abbandonare il corpo alla morte che gli è propria, hanno ribrezzo dei loro sensi, conoscendone gli effetti. Piuttosto io, l'intelletto, non permetterò che le azioni del corpo, che muovono all’assalto degli uomini, si compiano. Essendo il guardiano chiuderò le entrate alle azioni turpi e malvagie, troncandone i pensieri stessi.
[23] «  Da stolti, malvagi, perversi, invidiosi, avidi, assassini ed empi sto lontano, dopo aver ceduto il posto al dèmone vendicatore, il quale, gettando addosso all’uomo l’ardore del fuoco, lo assale attraverso i sensi e l’induce alle azioni empie, affinché abbia una più grave punizione. L’uomo non cessa quindi di avere appetiti privi di limiti; combatte nelle tenebre senza che nulla possa saziarlo, e ciò lo tortura e aumenta sempre più la fiamma che lo assale.  »
[24-27] Poimandres, richiesto da Ermete, spiega ciò che accade dopo la morte: il corpo e quella parte dell'anima sede delle passioni inferiori ritornano alla natura, dove gli elementi si disgregano e disperdono; invece, la parte superiore dell'anima e l'intelletto salgono verso le sfere celesti, oltrepassandole una ad una e liberandosi d'ogni residuo delle passioni terrene. Al termine dell'ascesa si ritrova nella sfera ogdoadica, conservando la sola propria naturale virtù, e qui si unisce ai suoi compagni, per cantare inni al Padre insieme alle potenze celesti, per divenire infine egli stesso potenza celeste ed quindi entrare in Dio. Questo dunque è l'approdo felice a cui giungono coloro che possiedono la conoscenza, conclude Poimandres, che lascia Ermete per ricongiungersi alle potenze celesti.
[24] [...] «  Quando avviene la morte del corpo, tu lo consegni all’alterazione, e la forma che tu avevi non è più visibile; poi abbandoni al dèmone il tuo essere ormai inattivo, i sensi del corpo ritornano alle proprie origini e tornano a far parte e a mescolarsi con le energie del cosmo, e infine le parti dell’anima, dove hanno sede l'ira e la concupiscenza, fanno ritorno alla natura priva di ragione.
[25] «  E così l’uomo sale verso l’alto attraverso la compagine delle sfere: nella prima zona si spoglia delle facoltà di aumentare e decrescere, nella seconda dell’abilità propria della malizia, dell'inganno ormai privo di effetto, nella terza abbandona il vano desiderare divenuto ora inefficace, nella quarta l'ostentazione del comandare ormai priva di avidità, nella quinta l'audacia empia e la temerarietà dell'ardire, nella sesta i disonesti appetiti generati dalla ricchezza, ormai vani, nella settima, infine, la menzogna ingannatrice. [26] E così, spogliato di ciò che era stato opera delle sfere celesti, si dirige verso la natura ogdoadica, mantenendo solamente la propria naturale virtù, e insieme agli altri esseri innalza inni a Dio. I presenti si rallegrano della sua venuta ed egli, divenuto uguale ai suoi compagni, può ascoltare alcune potenze che, al di sopra della natura ogdoadica, cantano con dolce voce inni al padre. Poi in ordine salgono verso Dio, consegnano se stessi alle potenze, e, divenuti essi stessi potenze, entrano in Dio. Questo è l’approdo felice a cui giungono coloro che possiedono la conoscenza: divenire Dio. E allora, che aspetti? Non ti prepari dunque, tu che da me hai appreso tutte le cose, a fare da guida a coloro che ne sono degni, affinché il genere umano per mezzo tuo possa essere salvato da Dio?  »
[...]
[27-30] Dopo di ciò, Ermete cominciò a predicare fra gli uomini il messaggio ricevuto da Poimandres: alcuni si allontanavano imprecando contro di lui; altri lo seguirono chiedendo di essere istruiti.
[...]
[30] Quanto a me, impressi nel mio cuore i benefici insegnamenti di Poimandres, e così, dopo essermi saziato di ciò che desideravo, fui completamente felice. Il sonno del mio corpo era infatti divenuto veglia dell'anima, i miei occhi chiusi mi concedevano una visione veritiera, il mio silenzio conteneva in sé il bene, l'esprimere parole era un generare cose buone. Tutto questo mi accadde, perché avevo ricevuto dal mio intelletto, cioè da Poimandres, il Logos del sommo Sovrano. Sono venuto dunque pieno del soffio divino della verità. [...]
[31-32] Il trattato si conclude con un'eulogia a Dio.2

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NOTE
1 I sette ministri sono i sette pianeti che, secondo un tema molto comune nello stoicismo, governano il mondo sensibile.
2 Eulogia è la trasposizione letterale del termine greco e definisce la preghiera ermetica.
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